Del “no, niente” delle donne.
Io sono una donna. Dotata, peraltro, di onestà intellettuale (e scusate la presunzione). La uso poco, ma la uso.
Riconosco, ad esempio, che a noi donne manca il gene della guida (fatte debite, esigue eccezioni), che riusciamo a complicare anche la messa in opera di una frittata e che siamo fisiologicamente permalose.
Ma credo che quanto sopra serva a controbilanciare: a) l’altrettanta genetica fissazione degli uomini per tutto ciò che fa “brum-brum”; b) l’incapacità maschile di addizionare qualsivoglia prodotto (frittata, fantasia, discorso, ecc.) di personalità e autodeterminazione; c) la loro fisiologica indolenza.
Detto questo, occorre riconoscere che c’è un terreno sul quale la partita tra i due sessi è impari, e nessun uomo potrà mai neppure insidiare il primato femminile: la capacità di trasformare una soffice e decorativa nuvoletta in tempesta perfetta nel giro di pochi giorni (in casi meno cogenti, nel giro di poche ore).
E tutto inizia, puntualmente, dal nostro “No, niente”.
Esso è preceduto, di norma, da un incauto “Cos’hai?/E’ successo qualcosa?/Ma c’è qualcosa che non va?” (qualcuno, più improvvido e/o inesperto tenta addirittura un “ma ho fatto qualcosa che non va?”).
No, niente.
E lì, amici maschi, vi si deve gelare il sangue.
Perché se è vero come è vero che noi donne diciamo “sì” per dire “no”, “no” per dire “sì” e “forse” per dire “no”, è altrettanto vero che se diciamo “no, niente” in realtà dentro di noi ribolle quel tutto che tra non molto esploderà lasciando dietro di sé distruzione e morte.
Diciamo “no, niente”, perché se ognuna di noi rispondesse in quel momento con ogni probabilità l’umanità si sarebbe estinta da tempo. Diciamo “no, niente”, perché col barlume di lucidità che ancora ci resta ci rendiamo conto che è giusto concedere a tutti una seconda, misera chance. Diciamo “no, niente” perché siamo magnanime.
Ma in realtà siamo incazzate come Erinni in menopausa perenne e il più delle volte non fa differenza se il motivo è il fatto che disseminiate calzini ovunque o che ci abbiate tradito: quando arriviamo allo stadio del “no, niente” siamo oltre ogni “perché”.
La cosa sciocca, semmai, è che ci teniamo tutto dentro per ore, giorni, per poi dover comunque esplodere (ed esplodiamo sempre, dopo: il bubbone del “no, niente” non si ritira autonomamente come un brufolo).
Ecco, questo da donna mi imputo: il fatto di non dire subito, come fate voi uomini, quel che non va, quel che mi ha fatto arrabbiare. No, noi ce lo trasciniamo dentro per giorni, ci maceriamo e quella miccia che ha innescato la bomba si autoalimenta con il nostro rimuginare, siamo noi stesse che lo nutriamo di congetture, della presunzione di chi “fa tutto da solo”, mentre voi state lì sul divano aggrappati alla vostra coscienza comunque barcollante (“vabbè, m’ha detto che non ha niente… avrà le sue cose…boh”), e pazienza se il piatto di pasta vi viene quasi sbattuto in faccia, anziché amabilmente poggiato davanti, pazienza se non vi rivolge la parola e lancia frecciatine (vabbè, queste tanto non le afferrate a prescindere)… “avrà le sue cose”.
Mentre noi non dormiamo, mentre ci facciamo i nostri castelli mentali ci scappa pure qualche lacrima, meditiamo vendetta e ostentiamo una freddezza come lama, che taglia per prime noi stesse…
Questo va avanti per ore, se il motivo è futile, per giorni se invece ci teniamo di più.
Cui prodest? Se dobbiamo litigare – e prima o poi litigheremo – perché non anticipiamo i tempi?
Perché noi siamo quelle che non si limitano ad aprire un uovo, sbatterlo e cuocerlo. Noi siamo quelle che ci mettono anche un filo d’acqua per farla venire più gonfia, un pizzico di pepe per dargli carattere, e una manciata di erbette per dargli sapore.
Noi siamo quelle che mettono fisiologicamente amore, e quindi passione, in tutto. Anche in una lite.
Voi siete quelli che ci mettono rassegnazione.
Ad ogni modo è giusto che sappiate che non sempre siamo immotivatamente incazzate o arrabbiate per delle quisquilie. Spesso siamo anche deluse, ferite, mortificate o offese. Siamo stanche, siamo rassegnate.
E una donna delusa, ferita, rassegnata, stanca, ecc. è una creatura a cui voler bene il doppio, dinanzi alla quale far prevalere la tenerezza, perché magari è rimasta delusa, ferita, ecc. nel tentativo di rendervi felici…