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Erinni

Del “no, niente” delle donne.

Io sono una donna. Dotata, peraltro, di onestà intellettuale (e scusate la presunzione). La uso poco, ma la uso.

Riconosco, ad esempio, che a noi donne manca il gene della guida (fatte debite, esigue eccezioni), che riusciamo a complicare anche la messa in opera di una frittata e che siamo fisiologicamente permalose.

Ma credo che quanto sopra serva a controbilanciare: a) l’altrettanta genetica fissazione degli uomini per tutto ciò che fa “brum-brum”; b) l’incapacità maschile di addizionare qualsivoglia prodotto (frittata, fantasia, discorso, ecc.) di personalità e autodeterminazione; c) la loro fisiologica indolenza.

Detto questo, occorre riconoscere che c’è un terreno sul quale la partita tra i due sessi è impari, e nessun uomo potrà mai neppure insidiare il primato femminile: la capacità di trasformare una soffice e decorativa  nuvoletta in tempesta perfetta nel giro di pochi giorni (in casi meno cogenti, nel giro di poche ore).

E tutto inizia, puntualmente, dal nostro “No, niente”.

Esso è preceduto, di norma, da un incauto “Cos’hai?/E’ successo qualcosa?/Ma c’è qualcosa che non va?” (qualcuno, più improvvido e/o inesperto tenta addirittura un “ma ho fatto qualcosa che non va?”).

No, niente.

E lì, amici maschi, vi si deve gelare il sangue.

Perché se è vero come è vero che noi donne diciamo “sì” per dire “no”, “no” per dire “sì” e “forse” per dire “no”, è altrettanto vero che se diciamo “no, niente” in realtà dentro di noi ribolle quel tutto che tra non molto esploderà lasciando dietro di sé distruzione e morte.

Diciamo “no, niente”, perché se ognuna di noi rispondesse in quel momento con ogni probabilità l’umanità si sarebbe estinta da tempo. Diciamo “no, niente”, perché col barlume di lucidità che ancora ci resta ci rendiamo conto che è giusto concedere a tutti una seconda, misera chance. Diciamo “no, niente” perché siamo magnanime.

Ma in realtà siamo incazzate come Erinni in menopausa perenne e il più delle volte non fa differenza se il motivo è il fatto che disseminiate calzini ovunque o che ci abbiate tradito: quando arriviamo allo stadio del “no, niente” siamo oltre ogni “perché”.

La cosa sciocca, semmai, è che ci teniamo tutto dentro per ore, giorni, per poi dover comunque esplodere (ed esplodiamo sempre, dopo: il bubbone del “no, niente” non si ritira autonomamente come un brufolo).

Ecco, questo da donna mi imputo:  il fatto di non dire subito, come fate voi uomini, quel che non va, quel che mi ha fatto arrabbiare. No, noi ce lo trasciniamo dentro per giorni, ci maceriamo e quella miccia che ha innescato la bomba si autoalimenta con il nostro rimuginare, siamo noi stesse che lo nutriamo di congetture, della presunzione di chi “fa tutto da solo”, mentre voi state lì sul divano aggrappati alla vostra coscienza comunque barcollante (“vabbè, m’ha detto che non ha niente… avrà le sue cose…boh”), e pazienza se il piatto di pasta vi viene quasi sbattuto in faccia, anziché amabilmente poggiato davanti, pazienza se non vi rivolge la parola e lancia frecciatine (vabbè, queste tanto non le afferrate a prescindere)… “avrà le sue cose”.

Mentre noi non dormiamo, mentre ci facciamo i nostri castelli mentali ci scappa pure qualche lacrima, meditiamo vendetta e ostentiamo una freddezza come lama, che taglia per prime noi stesse…

Questo va avanti per ore, se il motivo è futile, per giorni se invece ci teniamo di più.

Cui prodest? Se dobbiamo litigare – e prima o poi litigheremo – perché non anticipiamo i tempi?

Perché noi siamo quelle che non si limitano ad aprire un uovo,  sbatterlo e cuocerlo. Noi siamo quelle che ci mettono anche un filo d’acqua per farla venire più gonfia, un pizzico di pepe per dargli carattere, e una manciata di erbette per dargli sapore.

Noi siamo quelle che mettono fisiologicamente amore, e quindi passione, in tutto. Anche in una lite.

Voi siete quelli che ci mettono rassegnazione.

Ad ogni modo è giusto che sappiate che non sempre siamo immotivatamente incazzate o arrabbiate per delle quisquilie. Spesso siamo anche deluse, ferite, mortificate o offese. Siamo stanche, siamo rassegnate.

E una donna delusa, ferita, rassegnata, stanca, ecc. è una creatura a cui voler bene il doppio, dinanzi alla quale far prevalere la tenerezza, perché magari è rimasta delusa, ferita, ecc. nel tentativo di rendervi felici…

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Femme

Diciamo che ho quasi trovato un compromesso.

Un compromesso tra la mia indole poco avvezza ai “femminilismi” e la genetica muliebre che, chissà com’è, all’alba dei 40 bussa alla mia porta.

Sarà un altro tipo di orologio biologico, ho pensato.

In genere le donne alla mia età sentono l’esigenza di un figlio.

Io sento il bisogno di esprimere sprazzi di femminilità manifesta.

E mi viene da pensare che se questi sono i miei tempi, magari il desiderio di un figlio mi arriverà sui 50 e lì famo un caso mediatico come la Nannini.

Comunque, com’è come non è, quest’anno è tutto un fiorire di gonne e tacchi.

E di profumi meno legnosi, più floreali. Roba che anche solo tre mesi fa avrei vomitato.

Dipenderà dal fatto che sto facendo allungare i capelli (anche questo, strano segno) ed è come se questi avessero un prosieguo nella mia coscienza di donna.

Tutto questo sarebbe davvero inquietante e anche molto preoccupante, se non fosse che la piastra per i capelli la uso ancora per stirare le fascette da thai boxe.

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La cura

Bene, dopo aver condotto le mie piccole ma cogenti battaglie contro creme idratanti false e tendenziose, contro cibi integralisti e commesse d’assalto, oggi, col vostro permesso, prenderei in esame un’altra categoria, subdola e infingarda pure questa: le pseudocurate.

Quelle donnine, spesso leziose e ciarliere (lo fanno per dissimulare e/o distrarre) che dietro fondotinta stroboscopici, acconciature elisabettiane e leggins epidermici nascondo, in realtà:

  • peluria del viso letteralmente orripilante;
  • ricrescita dei capelli vergognosa;
  • peluria delle gambe a chiazze/a tappeto
  • (e mi autocensuro su parti più intime. Tipo le ascelle 😛 )

Cercherò di non infierire troppo, perché lo so che ognuna di noi, almeno una volta nella vita, è uscita di casa non proprio pronta per il Pronto Soccorso*.

Però, ragazze, non si può neppure indulgere più di tanto: la cura della persona va ben oltre il fattore estetico, è questione di amor proprio.

Non si può e non si deve arrivare a certi livelli di indecenza pilifera che manco il vostro cane vi riconosce se vi vede in mutande!

Né si può essere tanto screanzate da pensare che bastano belletti e barbatrucchi per nascondere la trascuratezza: dove non arriva un occhio attento, agisce la propria coscienza!

E molta insicurezza, ça va sans dire, nasce proprio dal sopravvento, malcelato, di una ricrescita di qualche tipo!

Ma ci sono donne, come detto, che vanno in giro convinte che cerone e ombretto bastino a coprire baffetti e sopracciglia dimenticati. Signore, in un normale giro di shopping a Milano, complici la nebbia e lo smog, potete pure passare inosservate. Ma il sole non ha pietà: la texture del vostro fondotinta può essere coprente quanto ve pare, ma la ricrescita del baffetto è in 3D, occupa spazio, sporge. Insomma: se vede l’ombra!

Lo so che, per una single, è più facile finire in ospedale che non a letto con uno in un momento di insana (!) passione e impeto (e quando dico “lo so”, credetemi, lo so per davvero: perché credete che non abbia scritto sul blog negli ultimi 7 giorni? 😉 ), ma metti che davvero capita una di quelle serate un po’ friccicherelle, quando ci si attarda col collega d’ufficio, quello caruccio, o col tizio della palestra e ci si ritrova avvinghiati come polpi e lui poi non riesce più a liberarsi perché l’hanno avvinghiato pure i tuoi peli? Eh?

L’alternativa, in caso di indecenza pilifera, è fingersi casta (con la minuscola!) e mostrare di saper difendere la vostra virtute, ma poi chissà quando ve ricapita!

Insomma: padronanza della situazione tricotica prima di tutto! Che siano peli superflui, peli sotterranei, ricrescita dei capelli: ci dobbiamo curare. Dobbiamo mettere in conto che, a prescindere da un medico di Pronto Soccorso o da un amante irruento, una bella, sana, puntigliosa depilazione e una brillante e approfondita tinta per capelli sono il primo passo non solo per essere belle, ma per sentircisi sin dal profondo (e dall’intimo!).

E del resto, se Dio ci avesse voluto attraenti “nature” ci avrebbe fatto nascere birre (ghiacciate).

*chi di voi non conosce la teoria detta del “Pronto Soccorso”? è una delle basilari regole di vita che le madri trasmettono ai propri figli sin dalla più tenera età assieme a regole semplici come: “mano davanti alla bocca quando si tossisce” e “mettiti la maglia di lana da ottobre ad aprile”. Ma metti caso che qualcuno se l’è scordata, ve la riassumo: il buonsenso vuole che quando si esce di casa bisogna essere sempre puliti e in ordine [sopra e sotto] perché, nonsiamai capita una cosa brutta e videvonoportaredurgenzainospedale, e mica ci potete andare con le mutande sporche! Ma nemmeno coi peli da farci le treccine, su!

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Tempo

L’età di una donna è direttamente proporzionale a quanto ella sarà disposta a spendere per una crema (o addirittura per un siero!) viso.

E in effetti la scelta e l’uso delle creme viso dicono chi una donna sia molto più di quanto non facciano il suo oroscopo, il suo matrimonio, il partito per cui vota.

Generalmente si inizia a 18 anni, ma è un “fuoco di paglia”: a quell’età si compra il primo vasetto di crema solo per sentirsi donna.

Ma si smette subito: sia per pigrizia, sia perché a 18 anni non c’è effettivamente bisogno di idratare alcunché.

Dopo una pausa più o meno lunga, fatta di discontinui ricorsi a belletti e detersioni, in cui però veniamo più spesso tentate dal delirio di “eterna giovinezza” che non dallo spauracchio della prevenzione del decadimento, si entra finalmente nei 30, la “zona franca” del rischio: qui iniziamo a capire che prevenire è meglio che curare e che è vero che al momento Madre Natura e facilità-nel-prender-sonno ci mettono al riparo da rughe che sembrano svastiche e forza di gravità, ma è meglio, appunto, non correre rischi.

Quindi il reparto “Topexan” diventa tappa obbligata perché lì accanto si trovano le creme viso.

E qui ce n’è di ogni.

Per quelle “tra i 30 e i 35”, “tra i 35 e i 40”, tra i “40 e i 45”. Dopo di che, anche il reparto creme suggerisce un tracollo, perché si smette di suddividere per età e si procede direttamente coi “casi d’urgenza” che, mi sembra di capire, si aggravano non più in lustri, ma ad horas!

Ma prima del tracollo c’è un altro varco spazio-temporale che non dipende solo dall’età della protagonista, bensì dalla sua ansietà e questo varco ti teletrasporta dai reparti profumeria di ipermercati e negozi “specializzati” alle profumeria tout court e poi ancora alle Farmacie.

L’ultima ratio sono le case cosmetiche “d’alto bordo”parigine, quelle che hanno solo tre rivenditori autorizzati in tutta Italia (Roma, Milano e Cortina d’Ampezzo. Se dice bene trovi lo stagionale a Portofino), ma qui non basta solo essere ansiose, devi pure avere un marito ricco.

Ad ogni modo, dicevo, quanto più spendi per cercare di rattoppare quei solchi che manco l’Anas, tanto più c’hai ‘n’età.

Che poi, care mie, diciamolo: l’età non è quella che dichiara l’anagrafe, ma è quella che ti senti e, soprattutto, ti vedi.

E la verità alla domanda “come stai?” la conosce solo lo strato cosmesiologico che frapponiamo tra noi e il mondo.

La mia risposta, oggi, deve trapassare siero, antirughe + idratante, primer, fondotinta e blush, prima di dire “bene, grazie”.

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Gender

A volte mi scopro a farmi domande davvero complesse dalla cui risposta dipende il mio grado di appartenenza al pianeta donna.

Cose tipo: “ma il reggiseno nero sotto la maglia bianca, è ok?”

“Quando è lecito fare uno strappo alla regola e truccare di colore sia gli occhi che la bocca?”

“Ma terra e blush si possono mischiare?”

Ecco, se davvero dipende da questo, il mio essere donna, mi sa che io sono un uomo.

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Travi

Ero lì, concentratissima sulla pagliuzza nell’occhio di mia sorella, che per giorni interi non mi sono accorta che – ops, ma vedi tu!, che caz… uh! – ci stava nientepopodimeno che una trave nel mio!

Ma tu guarda un po’, i casi della vita.

Insomma, com’è, come non è, mia sorella sta ai ferri corti con la figlia più grande.

Non è questione generazionale, è proprio che la prima non accetta la vita della seconda.

Mi sorella un po’ fascistella ci è: tutto deve andare come dice lei, se no sono guai. Per chi le capita a tiro.

Non ho mai ben capito dove prenda tutta questa autorevolezza, ma tant’è: la temiamo tutti.

Genitori, marito, figli, fratelli.

Che se la vedi è pure piccina, magrolina, tutta raffinata…

‘na jena.

A me, sin da piccola, me ne ha fatte passare di ogni. Aveva 9 anni quando sono nata: ha avuto una settimana di febbre a 40 per lo shock. Da lì dovevamo capire tutti, pure io poppante, che avrei avuto seri problemi a farmi accettare. E infatti sono 39 anni che cerco di farle capire che non voglio usurparle alcun primato, niente.

Mi tollera. Ma è sempre diffidente. Io lo so che quando mi guarda ancora vede in me l’infante, peraltro bruttina assai, che le ha distratto i genitori.

Lei, così bella e sempre elegante, ha dovuto dividere le attenzioni con questo brutto anatroccolo privo di gusto!

Sì, mi tollera. Ma è guardinga.

Ad ogni modo, dicevo, sta passando un periodo non proprio rilassante con la figlia maggiore. E io, tutta presa dal mio ruolo di superziaconfidentecomplicepartigiana, non mi sono mica resa conto che, questa volta, a prescindere da chi ha torto o ragione, bisogna semplicemente arretrare. Arretrare e tacere.

Ci sono luoghi insondabili nella vita degli altri. Uno di questi è quello in cui si gioca la partita genitori-figli.

Questo in generale. In particolare, invece, ero lì che pensavo a questa cosa del rapporto tra mia sorella e sua figlia, piena di biasimo per l’egoismo e la chiusura della prima verso la seconda, e mi sono scordata completamente di una cosa, che peraltro mia sorella mi ricorda sempre: non sono madre, non posso capire.

E’ il trionfo della retorica, questo, ma è anche una cosa sacrosanta e vera.

Io la amo di un amore incommensurabile, mia nipote. Ma non l’ho partorita. Non ho fatto progetti su di lei, non ho avuto paura di perderla quando il primo giorno d’asilo ha lasciato la mia mano e non ho sentito la sensazione di averla “persa” quando è andata all’università. E tralasciamo tutto quello che in mezzo a questi due estremi è accaduto.

Io sono una persona che la ama di un amore differente.

Che fa tutto facile, perché per me è facile.

Capendo questo ho smesso di vedere mia sorella (ergo , inconsciamente, la “rivale”) ed ho iniziato a vedere la madre. Una persona, quindi, che non ha nessun parallelo con me.

Alla quale va portato rispetto anche per le sue chiusure, i suoi egoismi, i suoi rigurgiti da primadonna.

Nella mia vita non c’è nessuno che si contende le mie attenzioni, il mio affetto, la mia femminilità, la mia professionalità e tutto il resto.

Con nessuno devo dividere il mio esser donna.

Meno che mai sono scissa nel mio ruolo di moglie, madre, donna in carriera ecc.

Io sono una.

Impalata alla mia grossa, immensa trave di sentimenti univoci.

Non devo cambiare modo di relazionarmi in base all’argomento e alla persona che ho dinanzi.

Una pagella, per me, sarà la pagella di qualcuno. Non sarà la pagella di mia figlia.

Una lite, un confronto, un abbraccio saranno, per me, lite, abbraccio e confronto con mia nipote. Non con una parte di me cui IO ho dato la vita.

E così le scelte e il divenire di questo individuo per il quale non ho perso il sonno, non ho fatto progetti, non ho aspettative, non ho lasciato una prima volta all’asilo…

Io di questa persona posso vedere solo la bellezza.

Non posso capirne la sofferenza. Quello solo una madre può farlo. Sentirlo sulla propria pelle prima che arrivi sulla pelle del figlio.

Ecco.

Ho aperto un tantino gli occhi, e ho visto questo.

Ora tra le due dovrò continuare a mediare. E’ il ruolo che LORO mi chiedono di avere. Ma so di dover farlo con lo sguardo rivolto alla realtà delle cose e non alla mia percezione di esse: smettendo, cioè, di guardare mia sorella e iniziando a vedere, con ossequio e rispetto, la madre.

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Stagioni

La mia percezione del cambio stagione (da primaveraestate ad autunnoinverno) non passa né dal calendario né dalle condizioni climatiche, ma dalla manicure.

Una perfetta manicure, infatti, è inconciliabile con il mio ciclo invernale, perché quand’arriva settembre torna la muay thai. E la muay thai se ne sbatte delle mie unghie curate, dei miei smalti a tinte fosche e del mio esibizionismo manesco: contano solo i guanti.

I guantoni, per la precisione.

Da un lato non mi dispiace: amo avere mani curate, ma detesto dover provvedere.

Però  non si può derogare troppo all’esser donna!

Una donna non particolarmente portata alla femminilità, come me, nel corso della vita deve scegliersi due o tre “cose da femmina” su cui puntare, e portarle avanti con costanza.

Due o tre, non di più: ma quelle non devono mai essere messe in discussione.

Quindi, per quanto mi riguarda, passi non avere sempre una perfetta messa in piega, passi non aver quotidianamente il tacco 12 o l’abitino attillato, ma trucco, mani e piedi devono essere in perfetto ordine. Sempre.

Insomma, io ho puntato sui belletti, sulle adulterazioni innocue: non avendo chissà quali armi seduttive, dalla mia (non fosse altro perché pure se le ho, non le so riconoscere) devo abbellire quello che c’è con piccole sofisticazioni. Che, dicevo, a settembre devo in qualche modo sospendere.

Ad allenarmi non ci posso andare col trucco! Beninteso: il 90 delle donne che vedo entrare in una palestra sembra stia sfilando per Jean Paul Gautier. Ma sono quelle stesse donne che palestrate ci NASCONO. Che vicino ad un attrezzo, in sala pesi, ci passano solo perché ci sta lo specchio dietro!

Queste qui non sudano, non hanno i calli sulle mani, non hanno la scheda d’allenamento “a piramide”!

E quando fanno zumba, leggiadre e aggraziate, emanano profumo, non vedi scorrere un rivoletto di sudore manco a pagarlo.

In un’aula di thai si suda entrando. E dopo due ore di allenamento sei liquefatto. Se ci entri truccata sei liquefatta e sporca. Quindi meglio evitare il blush. Ma pure il rimmel.

Quanto allo smalto, indossare dei guantoni e prendere a pugni un sacco, i pow o l’avversario si traduce, in un nano secondo, in dieci unghie “sbeccucciate”. Che a loro volta si traducono in una femmina sciatta.

Allora meglio la femmina “nature”. Liquefatta, ma nature.

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Maddalena

Leggevo una riflessione di San Gregorio Magno sul Vangelo odierno, che è dedicato come da liturgia alla memoria di Maria di Magdala, colei che per prima vide il Cristo risorto.

Badate bene: dopo la morte, Gesù vittorioso si rivela per prima a una donna. E “donna, chi cerchi?” la interpella vedendola piangente sul suo sepolcro. Lei gli risponde che cerca Gesù, ma non lo riconosce. E’ quando Gesù la chiama per nome (“Maria”) che lo riconosce.

Maria Maddalena, ci suggerisce San Gregorio, riconosce Colui che la riconosce. Che chiamandola per nome sottolinea una conoscenza profonda, speciale.

Così noi, cercatori di Dio e non: siamo chiamati a riconoscere solo chi ci (ri)conosce nel profondo. Chi ci chiAMA per nome.

Non gente qualunque.

Non dimentichiamolo.

Ascolta “Dall’aurora io cerco te”

Leggi Gv 20,1-2.11-18

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Propositi

Mettere l’accento sulla ‘e’ verbo, omettere l’apostrofo tra ‘un’ e ‘amico’, cedere il passo a una donna, anche se bruttina, ringraziare con cordialità un uomo che ci cede il passo, anche se bruttino, fare colazione con calma, guardare negli occhi il proprio interlocutore, non interloquire solo col telefono, lavare sempre le ascelle, prendersi cura di chi si prende cura di noi (e, soprattutto, riconoscerlo…).

La vita dovrebbe essere una collezione di piccoli buoni propositi come questi che diventano concretezza.

Ascolta “What the world needs now is love” (D. Warwick)

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Pensami

Un giorno penserai a me

come la donna

che ti ha amato così tanto

da consumare la terra

che separava

i tuoi passi dai suoi.

Oggi,

Amor mio,

pensa a me

come la donna

che ti ama così tanto

da generare nuove strade

perché il tuo cammino

non abbia a fermarsi

mai.

Ascolta “Gipsy” (S. Vega)

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Rosé

“Il vino online è donna: nell’e-commerce, un acquisto su due è femminile”, titola baldanzoso il quotidiano più rosa d’Italia. Rosa di colore, eh.

Lo sostengo da sempre: il titolo decreta il 90% del successo di un articolo. Laddove quel 90% non sta ad indicare il gradimento, bensì la sola lettura, visto che viviamo nell’epoca in cui tutti scrivono ma nessuno legge.

E in questo caso il titolo fa di più: esalta, fornendola, una notizia falsata, forzata e scorretta. Di fatto, se tra chi compra il vino on line uno è maschio e l’altro è femmina, stiamo parlando di 50% e 50%.

Ergo siamo in una situazione di perfetta parità.

Ergo, on line il vino è femmina tanto quanto maschio.

Ora, mi rendo conto che il risultato della ricerca Survey Lab di vente-privee stupisce un po’ tutti i machissimi ricercatori e consumatori di vino e compratori on line, convinti come sono che noi donne al massimo sappiamo esprimerci con urli quando arriva il corriere di Zalando o, al più, sappiamo aprire una scatoletta di tonno senza spezzare la linguetta, ma la notizia, messa così, non sta in piedi, su.

Dite quello che pensate veramente: INCREDIBILE! ANCHE LE DONNE BEVONO IL VINO E SANNO COMPRARLO ON LINE!

Ma non vi inventate le notizie, dai.

Tanto quello che pensate di noi, senza essere delle storiche e delle antropologhe, ci è chiaro già solo guardando le pubblicità in tv: i prodotti ad uso e consumo perlopiù di donne (detersivi, creme, assorbenti e, non ultimo, le reclame dei siti di shopping) dipingono questa metà della mela secondo uno standard che ci vede oscillare tra l’isteria, l’allucinazione e il bipolarismo: donne che indossano un assorbente come fosse il mantello dell’invisibilità, che parlano con le lavatrici, ballano con le scope.

Al contrario, le pubblicità che si rivolgono in prevalenza agli uomini (penso, ad esempio, a quelle delle automobili, o dei rasoi) ci presentano dei supereroi strafighi, pacati e concentrati, padroni del mondo e tutti filosofi, scienziati e letterati, che con una mano si fanno la barba e con l’altra respingono un asteroide che sta per abbattersi in soggiorno.

Ah, leggendo l’articolo, scopriamo che le donne preferiscono i vini bianchi e i rosati. Subito penso “perché si abbinano meglio”, e credo di aver fatto una battuta.

E invece.

Una delle titolari dell’azienda che ha commissionato la ricerca spiega che “ha deciso di contribuire alla sua ‘quota rosé’ (sic!) per attirare l’attenzione su una categoria “sottostimata” come i vini rosati. Ammiccando, neanche a dirlo, al pubblico femminile: «si sa, il rosa è un colore che attira l’attenzione femminile e ne abbiamo tenuto conto anche nel packaging vestendo la bottiglia con un’etichetta riconoscibile, ma che fa l’occhiolino alla sensibilità femminile colorandosi di fucsia e rosa cipria».”.

La quota rosé.

No, le donne non sono le peggiori nemiche delle donne: sono le loro migliori denigratrici.

À la santé!

Ascolta “A case of you” (Diana Krall)